Linguaggio e silenzio by George Steiner

Linguaggio e silenzio by George Steiner

autore:George Steiner
La lingua: ita
Format: epub
editore: Garzanti
pubblicato: 2014-09-25T00:00:00+00:00


POSCRITTO

Due brani a caso: il primo da Pergamena d’agonia. Il diario di Varsavia di Chaim Kaplan, il secondo dallo studio di Jean-François Steiner, Treblinka:

A Lodz un rabbino fu costretto a sputare su una pergamena della Torah che si trovava nell’Arca Sacra. Temendo per la propria vita egli ubbidì e profanò ciò che per lui e il suo popolo è sacro. Dopo un po’ di tempo non aveva più saliva, la sua bocca era secca. Quando il nazista gli chiese perché aveva smesso di sputare, il rabbino rispose che aveva la bocca secca. Allora il figlio della «razza superiore» cominciò a sputare nella bocca del rabbino, e il rabbino continuò a sputare sulla Torah.

Malgrado tutte le precauzioni prese dai suoi amici, il professor Mehring fu chiamato fuori dai ranghi durante l’appello. Quando la squadra di punizione, che eseguiva il proprio «esercizio», cominciò ad assottigliarsi, il professor Mehring fu preso da una straordinaria voglia di vivere e cominciò a correre come un pazzo. «Lalka» lo notò e, quando un quarto dei prigionieri fu crollato, fece continuare l’«esercizio» per vedere per quanto tempo il vecchio, che correva pochi metri dietro agli altri, poteva resistere.

Urlò: «Se riesci a raggiungerli, hai salva la vita».

E diede l’ordine di incitare i superstiti alla corsa con la sferza.

I superstiti barcollavano e rallentavano per aiutare il professore; ma i colpi raddoppiarono, facendoli incespicare, squarciando i loro abiti, coprendo i loro volti di sangue. Accecati dal sangue, vacillanti di dolore, aumentarono di nuovo l’andatura. Il professore, che aveva guadagnato un po’ di terreno, li vide staccarsi di nuovo da lui e protese le braccia, quasi ad afferrare gli altri prigionieri, quasi a intercedere presso di loro. Incespicò una prima, quindi una seconda volta; il suo corpo torturato sembrò spaccarsi; cercò ancora una volta di ritrovare l’equilibrio, poi, tutt’a un tratto, s’irrigidì e crollò nella polvere. Quando i tedeschi gli si avvicinarono, videro un filo di sangue uscirgli di bocca. Il professor Mehring era morto.

Piuttosto fortunato, a dire il vero: non appeso per i piedi e frustato a morte come Langner, con delle frustate così calcolate da non farlo morire che alla sera. E nemmeno buttato vivo nel forno crematorio. Né annegato, come lo furono molti, con una lenta immersione nell’orina e negli escrementi. Soprattutto, forse, senza aver impiccato con le proprie mani il suo bambino nella baracca, di notte, per risparmiargli nuove torture al mattino.

Una delle cose che non riesco ad afferrare, pur avendone scritto spesso, cercando di metterle in una specie di prospettiva tollerabile, è il rapporto temporale. In un momento precedente del tempo razionale, il professor Mehring era seduto nel proprio studio, stava parlando ai propri figli, leggeva libri, passava la mano sulla bianca tovaglia il venerdì sera. E, scorticato vivo, «con il sangue che gli colava lentamente dai capelli», Langner era, in un certo senso, lo stesso essere umano che un anno prima, forse meno, camminava di giorno per via, trattava affari, non vedeva l’ora di fare un buon pasto e leggeva una rivista mensile intellettuale. Ma



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